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Luciana Littizzetto

 

 

LUCIANA LITTIZZETTO

 Il principe azzurro

 È che noi donne siamo fastidiose. Ci abbiamo la fastidiosità inserita proprio nel DNA. Sarà che il cuore ci batte più veloce e diventiamo insofferenti. Abbiamo bisogno che il nostro Re mogio ci dica delle robe. Ma non robe qualsiasi, tipo: «Guarda che ti scade il bollo dell'auto». Parole d'amore, dannazione. Agogniamo l'assoluto. Vogliamo credere che siamo fatti proprio uno per l'altra.
   Qualche giorno fa mi sentivo molto Perla di Labuan, così ho mandato un SMS al mio Sandokan personale. «Ti amo» ho scritto. Un po' scontato, ma sempre attuale. Bastava che mi rispondesse: «Anch'io». Son poi sei lettere. No. Lui no. La mia tigre di Mompracem mi ha risposto: «Prendo atto». Ho dovuto alzare il gomito con la Soluzione Schoum per liberarmi dalle scorie emotive.
   E io che una volta credevo nel principe azzurro. Coi capelli di polenta e gli occhi a lago. Due. Bolsena e Bracciano. Che mi citofonava al portone posteggiando il cavallo bianco di lato al cassonetto. Son passati trentotto anni e ancora non l'ho trovato. O son cretina o comincio a dubitare che sia una specie protetta. Magari si è estinto da anni.
Ho trovato svariati uomini che mi piacevano, con i quali ho fatto anche un pezzo di strada. Principini, principastri, principuzzi. Non tantissimi per la verità. Con qualcuno ho giusto fatto due passi. Mai a cavallo. Sempre a piedi. Ma nessun principe azzurro.
   E allora me ne sono fatta una ragione. E son cambiata io. Il tempo mi ha trasformata. Mi si è allargato il punto vita, ho perso altri due decimi di vista e mi è crollato il sottomento come ai pellicani. Solo le tette resistono. In decenni di rispettabile carriera ancora non si sono sottomesse alla forza di gravita. Col tempo ho anche imparato a conoscermi. Mi so a menadito. Riesco persino a mettermi il rossetto a memoria. E ho imparato anche a fare a meno del principe azzurro. Però le parole d'amore le esigo. Ieri ci ho riprovato. Gli ho scritto: «Grazie di esistere». E lui mi ha risposto: «Prego». Zotico. Poi si è accorto di avere un tantino esagerato. La sera è arrivato a casa con una poesia. Scritta apposta per me. Mi ha specificato che era in stile futurista. Poi ha cominciato a declamare: «Non bulloni! / Non pistoni! / Centomila megatoni / tengo dentro ai pantaloni!».
Ecco fatto. La mia idea dell'inferno è più o meno questa.
 

 Guardami

 I maschi son così. Passano la vita a non accorgersi. Non si accorgono mai di niente. Zompano tra le nuvole con fette e fette di pancetta coppata sugli occhi. Quando si tratta di hi-fi, aggeggi meccanici, baracche ad alta precisione è diverso. In quel caso diventano linci. Sfoderano occhi a cannocchiale. Occhi al laser che notano le minuzie. Poi arrivano a casa e si trasformano in talponi.
   Il classico è quando la donna va dal parrucchiere. Mettiamo che noi, dopo mesi e mesi di dibattiti così solitari da rasentare il monologo (perché il taglio o non taglio dei nostri capelli gli interessa meno dell'estinzione del coccodrillo del Nilo), decidiamo di potarci la criniera. Via. Via le trecce morbide dall'affannoso petto e avanti col taglio alla maschietto. Orgogliosissime arriviamo a casa, rasate come chihuahua, con giberne di speranza in petto. Lui ci guarda, ci parla anche e non fa una piega. Niente. Manco un pieghino piccolo piccolo. Allora noi, che siamo tolleranti come dame di SanVincenzo, gli diamo un aiutino. Cominciamo a passeggiargli sui piedi nella speranza che un incontro ravvicinato di questo tipo sortisca qualche frutto. Macché. Allora proviamo a prendere a testate il citofono, così, per attirare l'attenzione. Nulla. Anche se ci sentiamo un po' come San Sebastiane martiri di Mantegna, zeppe di frecciate, non demordiamo. Passiamo a qualcosina di un po' più concreto. Magari una domanda. La classica: non noti mente? E lui: «Ti è spuntata una verruca sul mento o è un pezzo di Corn Flakes?». Col cuore gonfio d’amarezza allora confessiamo: «Ma tesoro . mi sono tagliata i capelli, non vedi». E lui: «Ah si... MA POCO». Ma come poco? Ho tagliato via venti centimetri di doppie punte! Come dovevo tornare a casa? Pelata come Demi Moore nel Soldato Jane perché tu te ne accorgessi, immane balengo? Perchè non ti cuci sul gilet una bella iniziale come nella Lettera scarlatta? Ma invece di cucirti la A di adultero ricamati una bella P di pirla. Così chi ti incontra risparmia la fatica di scoprirlo.
   Ma in fondo che cosa posso pretendere da uno che, quando gli ho detto di comprarmi un vestito da sera, e arrivato a casa con un pigiama, sul telefonino tiene la suoneria di Jeeg Robot d’Acciaio e il giorno del nostro anniversario mi ha regalato una torta con su decorata la nave di Titanic spezzata in due?                                

 
Dietro una grande donna

 Dicono che dietro un grande uomo ci sia sempre una grande donna. Può darsi. E dietro una grande donna? Be’, dietro una grande donna di solito ci sono un marito che brontola, dei figli che si lagnano e una casa che va a ramengo. Altro che «gli uomini e le donne sono uguali» come sbraita quello dei Lùnapop... Manco per sogno. Quello che chiediamo è soltanto un po' di collaborazione. Una parolina buona di tanto in tanto, un palpito di misericordia... tutto lì.
   Persino Mirella, mamma e moglie esemplare, maestra di buon senso, mai stanca, sempre disponibile è finita knock-out. Prima delusione: la suocera. Il peggior Hannibal Lecter che abbia mai conosciuto. Una settimana fa, per un guaio ai polmoni, si ammala. E addirittura finisce in coma.
La povera Mirella non la lascia sola un momento. Passa lunghissime notti al suo capezzale e in più continua a lavorare, a seguire i bambini e a occuparsi di quella tarma di suo marito. Grazie al cielo l'antenata resuscita e quali sono le sue prime parole da rediviva? Nessun grazie, zero carezze, nemmeno una lacrima. Siamo mica in una telenovela La nonnetta si risveglia e nel pieno delle sue facoltà dice: «E Bin Laden? A l'han ciapa lu?*». In quel momento Mirella si è sentita come se le avessero diluito il cervello nella trielina.
   Ma non finisce qui. Dopo qualche giorno porta il suo pargoletto di quattro anni a mangiare un gelato in centro. Cornetto-premio per il piccolo Mattia che ha fatto giuringiuretta. Ha promesso solennemente di non obbligare mai più il suo compagno d'asilo a farsi lo shampoo col Vinavil.
Com'è come non è, Mirella ha un calo di pressione, forse ancora per lo stress nonnifero. Sviene e batte una sonora craniata sul gradino di una creperie. Per fortuna il suo cucciolo mantiene un fair play invidiabile, chiede soccorso e arriva l'ambulanza. E questa volta è Mirella a risvegliarsi in barella, gli occhi traboccanti di lacrime. Il suo marmocchio la guarda, scuote il capino e borbotta: «Ho capito. Anche oggi niente gelato».
   E adesso si è messo pure il marito. Un pistolero che tutti chiamano Robiola perché è di Alba ed è già piuttosto stagionato. Quell'uomo lì a me fa lo stesso effetto che alle zanzare fa lo spray al geranio. Lunedì lo operano di emorroidi. Ha già fatto testamento e adesso pretende che Mirella assista all'operazione come fanno i mariti con le mogli in sala parto e che possibilmente gli tenga anche la mano. Santa donna.

*«E Bin Laden, l'hanno preso?»

 

Da Luciana Littizzetto, La principessa sul pisello, Milano, Mondadori, 2002, pp. 15-20.

 

 


 

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