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Leggendo qua e là

in questo spazio troverete brani di libri o articoli di riviste che ci sono sembrati degni di nota

 

  • (30 ottobre 2005)                           da:  Anonimo

    Solo dopo che l'ultimo albero sarà stato abbattuto. Solo dopo che l'ultimo fiume sarà stato avvelenato. Solo dopo che l'ultimo pesce sarà stato catturato. Soltanto allora scoprirai che il denaro non si mangia.
                                                                    
                                                            Profezia degli indiani Cree

  • (11 luglio 2005)         da:  Il miracolo della presenza mentale 
                                                     
    di  Thich Nhat Hanh
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    È vero?". Allen ha fatto un cenno con la testa e ha borbottato qualcosa sottovoce. Ma io ho capito.
    Poi Allen ha detto: "Ho scoperto un modo per avere molto più tempo. In passato, consideravo il tempo come se fosse suddiviso in tante parti distinte. Una parte la riservavo a Joey, un'altra era per Sue, un'altra la dedicavo ad Ana e un'altra ancora alle faccende domestiche. Quello che rimaneva era il mio tempo personale. Potevo, leggere, scrivere, fare ricerca, andare a passeggio.
        
    "Ora invece cerco di non dividerlo più. Considero il tempo che passo con Joey e Sue come tempo mio. Quando aiuto Joey a fare i compiti cerco di fare in modo che il suo sia
    anche il mio tempo. Studio la lezione insieme a lui, mi godo la sua presenza e cerco di coinvolgermi in quello che facciamo. Il tempo dedicato a lui diventa il mio tempo. Con Sue è lo stesso. E il bello è che ora posso disporre di un tempo illimitato!".
          Mentre parlava, Allen sorrideva. Ero sorpreso. Sapevo che tutto questo non l'aveva imparato dai libri. Era qualcosa che aveva scoperto da sé nella sua vita quotidiana.

    Lavare i piatti per lavare i piatti

         
    Trent'anni fa, quando ero ancora novizio alla Pagoda di Tu Hieu, lavare i piatti non era certo un compito gradevole. Durante la stagione del ritiro, quando tutti i monaci rientravano al monastero, due novizi dovevano cucinare e lavare i piatti per la comunità, che comprendeva a volte più di cento monaci. Non c'era detersivo. Solo cenere, pula di riso e fibra di cocco. Lavare quella montagna di scodelle era un lavoraccio, specialmente d'inverno quando l'acqua era fredda gelata. Inoltre, prima di cominciare a strofinare, bisognava mettere a scaldare un pentolone d'acqua. Oggi in cucina troviamo detersivo liquido, pagliette per le pentole e perfino acqua calda corrente che rende il tutto molto più gradevole. Adesso, lavare i piatti con piacere è più facile.
    Chiunque può lavarli in quattro e quattr'otto e poi mettersi seduto a bere una tazza di tè. Posso ammettere una lavatrice per la biancheria, anche se la mia roba la lavo a mano, ma la lavastoviglie mi pare francamente un po' troppo!
          
    Quando si lavano i piatti bisognerebbe soltanto lavare i piatti; il che significa che mentre si lavano i piatti bisognerebbe essere pienamente consapevoli di stare lavando i piatti.  A prima vista  può  sembrare un po'  sciòcco:  perché  insistere tanto su una cosa così banale? Ma è proprio questo il  punto.  Il  fatto  di  essere  qui  a  lavare  queste  scodelle  è una meravigliosa realtà. Sono pienamente me stesso, seguo il mio respiro,  conscio della mia presenza e  conscio dei  miei pensieri e delle mie azioni. Nulla può sballottarmi qua e là a suo piacere come una bottiglia in balia delle onde.

    La tazza nelle mani

          Negli Stati Uniti ho un caro amico che si chiama Jim Fo
    rest. Quando l'ho conosciuto, otto anni fa, era un attivista della Catholic Peace Fellowship. Lo scorso inverno mi è venuto a trovare. Di solito lavo i piatti dopo il pasto serale, prima di sedermi a bere una tazza di tè in compagnia. Una sera, Jim mi chiese se poteva lavarli lui. Gli dissi: "Fai pure, ma se lavi i piatti devi sapere come si fa". E lui:  "Ma dai, ti pare che non so lavare i piatti?". Risposi: "Ci sono due modi di lavare i piatti. Il primo è lavare i piatti per avere piatti puliti, il secondo è lavare i piatti per lavare i piatti". Jim mi sorrise e disse:  "Scelgo il secondo: lavare i piatti per lavare i piatti". E da allora Jim sa come si lavano i piatti. Gli passai le consegne per un'intera settimana.
    Se mentre laviamo i piatti pensiamo solo alla tazza di tè che ci aspetta e ci affrettiamo a toglierli di mezzo come se fossero una seccatura, non stiamo 'lavando i piatti per lavare i piatti'. Direi di più, in quel momento non siamo vivi.
    Questo perché, mentre siamo davanti al lavandino, siamo assolutamente incapaci di accorgerci del miracolo della vita.
    Se non sappiamo lavare i piatti, è probabile che non riusciremo nemmeno a bere la nostra tazza di tè. Mentre beviamo il tè, non faremo che pensare ad altre cose, accorgendoci a stento della tazza che teniamo fra le mani. Così ci facciamo risucchiare dal futuro, incapaci di vivere veramente un solo minuto della nostra vita.

  • (18 maggio 2005)            da:  Cirano de Bergerac  di  Edmond Rostand

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    Perchè ce le ho dentro le mie distinzioni!

    io non mi attillo, no, come uno sfarfallino,
    ma sono assai più netto, se son meno carino:
    Chè io non uscirei, vedi, per negligenza,
    con la minima macchia sul cor, con la coscienza
    ancora sonnachiosa, con un onor gualcito,
    e con un qualche scrupolo non troppo ben pulito!
    Ma io vo' senza nulla che in me non splenda, senza
    ombra, e mi son pennacchio franchezza e indipendenza.
    Non un torso ben fatto, non un prestante petto,
    ma l'anima io raddrizzo come in un corsetto.
    E, onusto di bei fatti che per nastri io m'allaccio,
    aguzzando il mio spirito come dei baffi, io faccio
    attraverso i concilii dei falsi e dei birboni
    sonar la verità siccome degli sproni!...

  • (15 maggio 2005)                  L'addio ai monti, di Lucia
                     
    dal capitolo VIII de "I promessi sposi" di Alessandro Manzoni

    Capitolo VIII


    "Carneade! Chi era costui?" ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libricciolo aperto davanti, quando Perpetua entrò a portargli l'imbasciata. "Carneade! questo nome mi par bene d'averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui?" Tanto il pover'uomo era lontano da prevedere che burrasca gli si addensasse sul capo!
             Bisogna sapere che don Abbondio si dilettava di leggere un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino, che aveva un po' di libreria, gli prestava un libro dopo l'altro, il primo che gli veniva alle mani..................................................
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    (Addio monti sorgenti)
    ..............le capanne: il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d'addormentati, vegliasse, meditando un delitto. Lucia lo vide, e rabbrividì; scese con l'occhio giù giù per la china, fino al suo paesello, guardò fisso all'estremità, scoprì la sua casetta, scoprì la chioma folta del fico che sopravanzava il muro del cortile, scoprì la finestra della sua camera; e, seduta, com'era, nel fondo della barca, posò il braccio sulla sponda, posò sul braccio la fronte, come per dormire, e pianse segretamente.        
    Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti.
             Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.
             
    Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia, e poco diversi i pensieri degli altri due pellegrini, mentre la barca gli andava avvicinando alla riva destra dell'Adda.


 

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