Leggendo qua e là
in questo spazio troverete brani di libri o
articoli di riviste che ci sono sembrati degni di nota |
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(11 luglio 2005)
da: Il miracolo della
presenza mentale
di
Thich Nhat Hanh
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È vero?".
Allen ha fatto un cenno
con la testa e ha borbottato qualcosa sottovoce.
Ma io ho capito.
Poi
Allen ha detto: "Ho scoperto un modo per avere molto
più tempo. In passato,
consideravo il tempo come se fosse suddiviso in tante
parti distinte. Una parte la riservavo a Joey,
un'altra era per Sue, un'altra la dedicavo ad Ana
e un'altra ancora alle faccende domestiche.
Quello che rimaneva era il mio tempo personale.
Potevo, leggere, scrivere,
fare ricerca, andare a passeggio.
"Ora invece
cerco di non dividerlo più. Considero il tempo
che passo con Joey e Sue come tempo
mio. Quando aiuto Joey a fare i compiti cerco di fare in
modo che il suo sia
anche il mio tempo.
Studio la lezione insieme a lui, mi godo la sua presenza
e cerco di coinvolgermi in quello che facciamo. Il tempo
dedicato a lui diventa il mio tempo. Con Sue è lo
stesso. E il bello è che ora posso disporre di un tempo
illimitato!".
Mentre parlava, Allen
sorrideva. Ero sorpreso. Sapevo che tutto questo non
l'aveva imparato dai libri. Era qualcosa che aveva
scoperto da sé nella sua vita quotidiana.
Lavare i
piatti per lavare i piatti
Trent'anni fa, quando ero
ancora novizio alla Pagoda di
Tu Hieu,
lavare i piatti non era certo un compito gradevole.
Durante la stagione del ritiro, quando tutti i monaci
rientravano al monastero, due novizi dovevano cucinare e
lavare i piatti per la comunità, che comprendeva a volte
più di cento monaci. Non c'era detersivo. Solo cenere,
pula di riso e fibra di cocco. Lavare quella montagna di
scodelle era un lavoraccio, specialmente d'inverno
quando l'acqua era fredda gelata. Inoltre, prima di
cominciare a strofinare, bisognava mettere a scaldare un
pentolone d'acqua. Oggi
in cucina troviamo
detersivo liquido, pagliette per le pentole e perfino
acqua calda corrente che rende il tutto molto più
gradevole. Adesso, lavare i piatti con piacere è più
facile.
Chiunque può lavarli in quattro e quattr'otto
e poi mettersi seduto a bere una tazza di tè.
Posso ammettere una lavatrice per la biancheria, anche
se la mia roba la lavo a mano, ma la lavastoviglie mi
pare francamente un po' troppo!
Quando
si lavano i piatti bisognerebbe soltanto lavare i
piatti; il che significa che mentre
si lavano i piatti bisognerebbe essere pienamente
consapevoli di stare lavando i piatti. A prima vista
può sembrare un po' sciòcco: perché insistere tanto
su una cosa così banale? Ma è proprio questo il punto.
Il fatto di essere qui a lavare queste scodelle
è una meravigliosa realtà. Sono pienamente me stesso,
seguo il mio respiro, conscio della mia presenza e
conscio dei miei pensieri e delle mie azioni. Nulla può
sballottarmi qua e là a suo piacere come una bottiglia
in balia delle onde.
La tazza
nelle mani
Negli Stati Uniti ho un caro amico che si chiama
Jim Forest.
Quando l'ho conosciuto, otto anni fa, era un attivista
della Catholic
Peace Fellowship.
Lo scorso inverno mi è venuto a trovare. Di
solito lavo i piatti dopo il pasto serale, prima di
sedermi a bere una tazza di tè in compagnia. Una
sera, Jim mi chiese se poteva lavarli lui. Gli dissi:
"Fai pure, ma se lavi i piatti devi sapere come si fa".
E lui: "Ma dai, ti pare che
non so lavare i piatti?".
Risposi: "Ci sono due modi di lavare i piatti. Il
primo è lavare i piatti per avere piatti puliti, il
secondo è lavare i piatti per lavare i piatti". Jim mi
sorrise e disse: "Scelgo il secondo: lavare i piatti
per lavare i piatti". E da allora Jim sa come si lavano
i piatti. Gli passai le consegne per un'intera
settimana.
Se
mentre laviamo i piatti pensiamo solo alla tazza di tè
che ci aspetta e ci
affrettiamo a toglierli di mezzo come se fossero una
seccatura, non stiamo 'lavando
i piatti per lavare
i piatti'. Direi di più, in
quel momento non siamo vivi.
Questo perché, mentre siamo davanti al lavandino,
siamo assolutamente incapaci di accorgerci del miracolo
della vita.
Se non sappiamo lavare i piatti, è probabile che non
riusciremo nemmeno a bere la nostra tazza di tè. Mentre
beviamo il tè, non faremo che pensare ad altre cose,
accorgendoci a stento della tazza che teniamo fra le
mani. Così ci facciamo risucchiare dal futuro, incapaci
di vivere veramente un solo minuto della nostra vita.
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(18 maggio 2005)
da: Cirano de
Bergerac di Edmond Rostand
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Perchè ce le ho dentro le
mie distinzioni!
io non mi attillo, no, come uno
sfarfallino,
ma sono assai più netto, se son
meno carino:
Chè io non uscirei, vedi, per
negligenza,
con la minima macchia sul cor,
con la coscienza
ancora sonnachiosa, con un onor
gualcito,
e con un qualche scrupolo non
troppo ben pulito!
Ma io vo' senza nulla che in me
non splenda, senza
ombra, e mi son pennacchio
franchezza e indipendenza.
Non un torso ben fatto, non un
prestante petto,
ma l'anima io raddrizzo come in
un corsetto.
E, onusto di bei fatti che per
nastri io m'allaccio,
aguzzando il mio spirito come
dei baffi, io faccio
attraverso i concilii dei falsi
e dei birboni
sonar la verità siccome degli
sproni!...
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(15 maggio 2005)
L'addio ai monti, di Lucia
dal capitolo VIII de "I promessi sposi" di
Alessandro Manzoni
Capitolo VIII
"Carneade! Chi era costui?" ruminava tra sé don
Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del
piano superiore, con un libricciolo aperto davanti,
quando Perpetua entrò a portargli l'imbasciata.
"Carneade! questo nome mi par bene d'averlo letto o
sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone
del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo
era costui?" Tanto il pover'uomo era lontano da
prevedere che burrasca gli si addensasse sul capo!
Bisogna sapere che don Abbondio si dilettava di
leggere un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino,
che aveva un po' di libreria, gli prestava un libro dopo
l'altro, il primo che gli veniva alle mani..................................................
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(Addio
monti sorgenti)
..............le capanne: il palazzotto di don
Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le
casucce ammucchiate alla falda del promontorio, pareva
un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una
compagnia d'addormentati, vegliasse, meditando un
delitto. Lucia lo vide, e rabbrividì; scese con l'occhio
giù giù per la china, fino al suo paesello, guardò fisso
all'estremità, scoprì la sua casetta, scoprì la chioma
folta del fico che sopravanzava il muro del cortile,
scoprì la finestra della sua camera; e, seduta, com'era,
nel fondo della barca, posò il braccio sulla sponda,
posò sul braccio la fronte, come per dormire, e pianse
segretamente.
Addio,
monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime
inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse
nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi
più familiari; torrenti, de' quali distingue lo
scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville
sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di
pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi,
cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di
quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto
dalla speranza di fare altrove fortuna, si
disabbelliscono, in quel momento, i sogni della
ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto
risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse
che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza
nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco,
da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e
morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città
tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che
sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e
davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa,
con desiderio inquieto, al campicello del suo paese,
alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da
gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi
monti.
Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli
neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in
essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è sbalzato
lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo
dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care
speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di
sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e
non può con l'immaginazione arrivare a un momento
stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove,
sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere
dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo
aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora
straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita,
passando, e non senza rossore; nella quale la mente si
figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa.
Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno,
cantando le lodi del Signore; dov'era promesso,
preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore
doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir
comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi
tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia
de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa
e più grande.
Di tal genere, se non tali appunto,
erano i pensieri di Lucia, e poco diversi i pensieri
degli altri due pellegrini, mentre la barca gli andava
avvicinando alla riva destra dell'Adda.
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